Intelligenza artificiale e mondo del lavoro: uno sguardo al futuro

NOTE DI LETTURA

Titolo pretenzioso e ambizioso. Magari sarò smentito già domani, e sorriderò tra un anno rileggendo queste righe. Ma ci voglio provare ugualmente.

Parto da un assunto: l’intelligenza artificiale che prendo in considerazione qui, opera in deep learning, ma è priva di coscienza e di consapevolezza di sé. Un po’ come quelle più conosciute oggi. Lasciamo quindi perdere Asimov, HAL 9000 e compagnia bella, che ad oggi rimangono nel mondo della pura fantascienza, anche se vi sono costanti tentativi di realizzare qualcosa del genere.

Non parlo quindi di macchine coscienti, stile Matrix, che prenderanno il sopravvento sulla razza umana.

Sulla base del concreto e del reale, l’intelligenza artificiale che conosciamo oggi non è altro che uno strumento al servizio dell’uomo che l’ha creata, e come tale la interpreto nel resto di questo articolo.

INTRODUZIONE

E’ uno strumento potente? Si, enormemente. E le sue potenzialità sono ben lontane dall’essere pienamente espresse.

E’ uno strumento che aiuta nella vita quotidiana? Non troppo, ad oggi, ma sicuramente qualcosa già funziona, e sempre di più i sistemi di IA saranno parte della vita di ciascuno di noi. Basti pensare alle auto a guida autonoma, ai robot che fanno le pulizie in casa, ecc.

E’ uno strumento che aiuta nel mondo del lavoro? Sicuramente si, poiché è in grado di fare rapidamente cose che fino a pochi anni fa richiedevano ore e ore di lavoro manuale o intellettuale.

E’ uno strumento che ruberà il lavoro alle persone? Ecco, questo è il vero punto critico di questa riflessione.

RIFLESSIONI SUL PASSATO

Storicamente, gli uomini (straordinari per intelletto, ma fisicamente piuttosto limitati) hanno sempre provato a inventare attrezzi e strumenti che migliorassero le loro prestazioni fisiche e con esse le loro condizioni di vita. Determinate manualità, comuni a tutti i primi uomini che hanno popolato il pianeta, sono state sostituite da strumenti che rendono il lavoro decisamente più facile, e sono del tutto scomparse o sono state relegate a ruolo di mero passatempo, fini a sé stesse. Un esempio semplice: la corsa. Una volta correre era fondamentale per andare rapidamente da un luogo a un altro. Poi sono arrivati il cavallo, la bicicletta, l’automobile, il monopattino elettrico. Volendo oggi possiamo spostarci quasi senza movimento. Quindi perché continuiamo a correre? Per piacere e benessere personale, divertimento, sport e competizione. Non certo per esigenze logistiche.

Col tempo, l’uomo ha creato non solo strumenti che moltiplicassero le capacità fisiche, ma anche quelle intellettuali. La calcolatrice è un esempio lampante. E qui la questione si fa problematica, perché l’essere umano medio del mondo ricco (concedetemi questo termine: parlo di mondo “ricco” intendendo l’insieme di tutte le persone che hanno accesso alle risorse di cui parliamo in queste righe) non dedica alla cura delle capacità mentali le stesse risorse che dedica al mantenimento delle capacità fisiche. Un esempio? Quanti tra di noi fanno passeggiate, corsa, palestra o altri sport? E quanti invece curano le proprie capacità mentali allenandosi a fare calcoli complicati senza l’ausilio di strumenti?

A supporto di quel che dico, le statistiche di ISTAT, EUROSTAT e altri enti forniscono una situazione migliore per la cura del fisico, che per la cura delle facoltà mentali. Per dirla in poche, volutamente drammatiche parole, stiamo gradualmente perdendo la capacità di pensiero logico perché ci sono strumenti che pensano al posto nostro, e non siamo interessati a mantenere attive queste capacità in altri modi. Non sappiamo fare di calcolo, perché usiamo la calcolatrice. Non impariamo più nulla, perché tanto c’è internet che ci fornisce tutte le informazioni di cui abbiamo bisogno. Non impariamo la geografia perché c’è il navigatore. Conoscenza e pensiero ci servono sempre meno. Ovviamente esagero, per rendere l’idea.

TEMA PRINCIPALE

Torniamo al mondo del lavoro. Nel secolo scorso abbiamo inventato i robot, che in certe attività hanno sostituito le manualità svolte in precedenza da una quantità di lavoratori, che si sono quindi dovuti adattare e reinventare. Anche l’elettronica ha rimpiazzato e efficientato una grande quantità di attività manuali, con nuove necessità di evoluzione da parte dei lavoratori. In tutte queste evoluzioni, si nota un filo conduttore: l’evoluzione del valore aggiunto dell’attività umana rispetto all’attività tecnologica.

Ciò che era considerato valore aggiunto una volta, ad esempio la capacità di avvitare un bullone, si è trasformato in qualcosa di non specialistico con il tempo, e pian piano è stato sostituito dall’azione di un macchinario, spingendo l’uomo a migliorare se stesso e le proprie capacità: oggi un macchinario è in grado di confezionare un abito, ma se desidero un lavoro di alta qualità mi rivolgo all’artigiano, che ha saputo sviluppare un valore aggiunto, una capacità superiore, anche rispetto al più evoluto dei macchinari.

Chi non ha fatto questo salto non è stato necessariamente fagocitato dall’evoluzione tecnologica, ma ha visto il suo valore aggiunto diminuire costantemente, fino a doversi accontentare di un ruolo economicamente marginale. Tengo a precisare che questa considerazione non ha nulla a che vedere con il ruolo sociale di ciascun individuo: qui si potrebbe aprire un discorso amplissimo, che non è però oggetto di questo articolo.

Lo stesso vale, a mio avviso, per l’intelligenza artificiale, strumento che come tutti gli altri andrà a chiedere qualcosa di più ai lavoratori, un nuovo valore aggiunto, e andrà a soppiantare attività che fino a ieri erano considerate di valore. La differenza è che, come per la calcolatrice, l’IA agisce a livello di capacità di pensiero, non di manualità, poiché le IA disponibili ad oggi sembrano più orientate a inserirsi in lavori di tipo intellettuale.

Prendiamo ad esempio un’attività professionale, come quella di un consulente (come me). Una relazione ben fatta era un valore aggiunto, che il cliente era disposto a pagare adeguatamente. Oggi lo è ancora, ma un po’ meno, e domani non lo sarà più: sarà qualcosa di dato per scontato, che non concorre al valore del servizio offerto. Il professionista, quindi, dovrà trovare un nuovo valore aggiunto, facendosi magari aiutare proprio da quello strumento che non viene visto come un concorrente da combattere, ma come un supporto per qualcosa di migliore, che prima non si poteva realizzare. E non si tratterà solo di qualcosa di manuale o fisico, ma di un valore aggiunto dato anche (se non totalmente) da un’evoluzione delle capacità di pensiero, che storicamente è più difficile da attuare.

CONCLUSIONI

Per fare questo impegnativo passaggio, sarà necessario studiare il nuovo strumento, conoscerne a fondo i meccanismi. Il lavoratore (dipendente, imprenditore, professionista, nel pubblico come nel privato, e in qualsiasi settore) che riuscirà a padroneggiare gli strumenti di IA e a usarli per creare qualcosa di migliore, sarà l’evoluzione del lavoratore attuale e manterrà il suo valore aggiunto. Chi vedrà lo strumento come concorrenza sleale e non come stimolo, e chi si perderà nel “continuiamo a fare le cose come una volta” (senza migliorarsi, ovviamente), chi cercherà di opporsi al cambiamento e di mantenere lo status quo, sarà invece messo da parte, come la storia ci insegna.


Che ne pensi? fammi avere le tue considerazioni o condividi le tue esperienze. Dal dialogo nascono le idee migliori.

Andrea Bisio

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